Diamo oggi il benvenuto ad Arcadia, il cui nome cela tanto significato che trapela dalle sue parole e dalle sue opere. Un interessante momento in cui apprezziamo la profondità e la specificità del confronto, un momento di riflessione e approfondimento di un’artista poliedrico, in grado di ammaliare e far vibrare le corde interiori.
Delle tante maschere di cui si vestono i comuni mortali e gli artisti, o sedicenti tali, questa è la mia personale più interessante scoperta: dietro una maschera costruita e definita con minuzia in ogni suo particolare scopriamo l’artista, carico e ricco di significato. A mio modesto avviso uno dei rari e riusciti incontri fra apparenza e sostanza, cui spero artisticamente seguiranno tanti successi e palchi sempre più ambiti e prestigiosi!
Come nasce il nome “Arcadia”?
Arcadia è nata durante un attacco di Stendhal.
Ero rimasto letteralmente ipnotizzato da un dipinto di Dante Gabriel Rossetti, la Veronica Veronese. Stessi capelli rossi, stessa profonda malinconia e stessa febbricitante accettazione. “Arkadia” è anche il nome di un centro commerciale di Varsavia, una delle città più belle in cui io sia mai stato. Appena vi entrai, ebbi un’epifania: l’esagerato sfarzo, le vetrine con le torte, l’estetica sovietica, la bellezza delle donne aliene, gli outfit che Lotta Volkova si sogna di notte.
Ho scelto di togliere la “K” perché Arcadia è italiana, ma vorrei fosse nata in Grecia o in una tenuta dello Yorkshire.
Poi ho scelto questo nome perché, per me, tutto deve nascere dalla poesia. L’Accademia letteraria dell’Arcadia è stata fondata nel 1690, si sviluppa e si diffonde in tutta Italia durante il Settecento in risposta a quello che era considerato il cattivo gusto del Barocco. Ogni partecipante doveva assumere, come pseudonimo, un nome di ispirazione pastorale greca. E io ho scelto proprio il nome di Arcadia.
Raccontaci del tuo EP “Manifesto”
“Manifesto” nasce con l’intento di comunicare, con una veste elettronica e in chiave poetica, i temi dell’amore e della perdita. Volevo raccontare, attraverso synth e strane armonizzazioni, la questione dell’incomunicabilità, la forte difficoltà nel capire le intenzioni e gli stati d’animo dell’altro, nonostante la grande volontà di decifrare ogni frase come un rebus e di comprendere anche quello che non viene detto a parole.
Tastiere elettroniche e sonorità contemporanee: i miei riferimenti musicali per quell’ep sono stati M.I.A. e Grimes. Tutti i brani sono emblematici del mio approccio emotivo – forse infantile – ma sempre autentico alla musica.
Raccontaci del tuo brano d’esordio solistico “Taxi driver”?
Taxi Driver parla di come, attraverso delle ciglia finte e un po’ di make up, io abbia trovato la mia personale magia per trasformare le lacrime in una manciata di glitter.
La traccia è volutamente catchy e ritmata, ma le parole sono forti e autentiche più che mai.
Scrivo della vita in periferia, di quanto sia difficile stare in piedi di fronte ad un futuro che sembra precario e incerto, tra i palazzi grigi di una Milano disincantata e magica allo stesso tempo.
Arcadia è come una fenice che rinasce dalle sue ceneri e ha il potere di vedere il mondo attraverso un’incandescente lente di ingrandimento che mostra i colori più lucenti e scintillanti.
Arcadia è un pianeta lontano, ma canta di vita reale.
Qual’è il tuo background artistico e come è nata la passione per l’arte, e la musica in particolare?
Mi sono avvicinato al mondo dell’arte già da piccolissimo, sfogliavo le pagine piene di dipinti e mi divertivo a ricopiarli con le matite colorate. Inoltre, prendevo il cacciavite dalla cassetta degli attrezzi e facevo finta che fosse un microfono, imitavo le dive che vedevo in TV. Fin da bambino ho sempre cercato ogni modo possibile per esprimere il mio mondo interiore. Ho studiato musica, canto lirico e mi sono appassionato a quasi tutti i generi musicali, dal folk al jazz, passando per l’opera lirica e il pop più commerciale.
Quanto ti ha aiutato comprendere, abbracciare e lavorare con le tue molteplici nature?
Il mio percorso musicale e artistico è coinciso perfettamente con quello umano, quando ho compreso e accettato le mie diverse sfumature sono riuscito a superare i tanti ostacoli che mi ponevo da solo, quella parte auto-sabotante che proveniva proprio dalla mia mente.
Arcadia è nata anche per questo, soprattutto per facilitare la mia comunicazione sul palco. Indossando una maschera ci si sente meno nudi, si percepisce di meno il peso della propria vulnerabilità. È come avere una corazza addosso e, allo stesso tempo, essere sé stessi al cento per cento. Non ho scelto di creare Arcadia per l’esigenza di vestire dei panni femminili, ma per creare un mondo immaginario legato alla libertà e alla fantasia, in cui rifugiarmi quando ne ho bisogno. Sul palco nei panni di Arcadia. Fuori dal palco nei panni di Stefano.
Raccontaci della tua pregiata presenza ed esperienza ad X-Factor
Devo essere sincero, per me quell’esperienza è stata davvero traumatica e, forse, è arrivata prematuramente. Non avevo le spalle abbastanza larghe per affrontare una simile pressione. Mi ci è voluto parecchio tempo per metabolizzare quei tre lunghi mesi, per comprenderne i benefici. Sia a livello umano che artistico sono cresciuto molto, anche grazie ad X Factor.
Mi ha buttato prepotentemente fuori dalla mia zona di comfort e mi ha fatto capire che se si vuole far sentire la propria voce, bisogna lottare.
Di X Factor ho pochissimi ricordi, del palco e delle esibizioni ho rimosso quasi tutto. Come dei flashback di una vita passata. Unico goal: nel loft dove eravamo reclusi ci si poteva abbuffare di qualsiasi tipo di cibo, come essere in crociera!
E Sanremo Social?
Ho partecipato a Sanremo Social con un brano apparentemente “scemo” e credo che pochi abbiano capito di cosa stessi parlando realmente. “Pollyanna” prende il nome dall’omonima sindrome di tutte quelle persone che fingono vada tutto bene nonostante i problemi della vita.
Me ne parlò per la prima volta Filippo Timi e io fui ispirato a scriverci una canzone, proprio nel momento in cui presi consapevolezza che avrei dovuto abbandonare tutti quegli sforzi fatti per compiacere gli altri e per risultare positivo a tutti i costi.
Raccontaci di “Venus” e cosa pensi di Lady Gaga?
Venus è uno dei brani che mi più colpì dell’album “Artpop” di Lady Gaga, ci feci una delle mie cover in chiave drammatica e la caricai nei social: inaspettatamente iniziarono ad arrivarmi migliaia di notifiche e non capivo bene cosa stesse accadendo. Lady Gaga stessa aveva messo like alla mia interpretazione e, a catena, i suoi fan apprezzarono la cover da tutte le parti del mondo. Ne fui felicissimo, anche perché ero e sono tutt’ora un little monster, un suo fan.
Sapere che uno dei miei idoli mi ha ascoltato cantare, già questo basta per riempirmi il cuore di gioia. Di lei amo il fatto che è una cantautrice fenomenale, sempre ispirata, e che non ha paura di mostrarsi con le sue maschere o scevra da ogni armatura, in tutta la sua vulnerabilità.
Come stai vivendo da artista e da persona il periodo di covid-19?
Come artista sto vivendo con molta ansia questo periodo, devo essere sincero, mi manca il pubblico, i live, il rapporto con chi mi ascolta cantare. Idem, umanamente, sono molto preoccupato. Ho riscoperto però una parte resiliente di me che credevo sopita, proprio in questo periodo ho iniziato con la pratica della meditazione, l’attività fisica e a prendermi più cura di me stesso. Credo che questo periodo, anche se bruttissimo per tutti noi per le ragioni che ben sappiamo, debba servire anche per fermarsi e riflettere su quello che stiamo facendo, dove stiamo andando. Solo insieme possiamo andare avanti e crescere, fare un salto verso un mondo più sostenibile e umano.
Quali sono i progetti futuri?
Per il futuro intendo continuare quello che sto facendo ora: comunicare in ogni modo possibile, attraverso la musica e l’arte. Sto lavorando ud un nuovo progetto musicale, per ora sono alla scrittura delle bozze al piano – la parte che preferisco, è un’operazione catartica e liberatoria. Spero di farlo uscire entro il prossimo anno, anche perché l’esigenza di esprimermi con la musica è più forte che mai.