Doombo e altre storie, raccontate direttamente da Primitive Mule

Doombo e altre storie, raccontate direttamente da Primitive Mule

Straordinaria e interessante intervista oggi alla band Primitive Mule, formazione poliedrica che ci vizia e seduce con la sua arte. Recentemente impegnata nella promozione del lavoro Doombo, pubblichiamo con estremo interesse l’intervista alla band Primitive Mule, grati e onorati per il loro tempo e la cortesia riservataci! Scopriremo interessanti retroscena musicali e di vita dei componenti, la formazione Primitive Mule ci condividerà con quelle che sono le collaborazioni, fra le tante, quelle con Red&Blue, le esperienze, e i progetti futuri. Entriamo nel vivo dell’intervista e diamo un caloroso benvenuto alla band Primitive Mule!

Com’è nata vostra la passione per la musica?

Domanda difficile ma anche semplice: è nata perché non poteva non nascere. Per chi ama la musica è impensabile stare senza.

Come sono nati i “Primitive Mule” e il vostro sound?

La prima scintilla nasce da Andrea e Milo, che si ritrovano coinquilini ai tempi dell’università e dopo anni di esperienze in diverse cover band, decidono di avviare un progetto in cui tornare a scrivere canzoni inedite. In breve tempo vengono coinvolti Francesco e Michele, anch’essi con diversi anni di esperienza musicale.

Il sound nasce dalla fusione di quattro persone, delle nostre coordinate personali e dall’apertura a fondersi al meglio con gli altri componenti. C’è una ricerca nei suoni per andare a costruire un muro che sia duro, massiccio ma non rigido. Cerchiamo di essere abrasivi ma allo stesso tempo eleganti, istintivi ma non banali.

Ma alla base di tutto c’è l’istinto primitivo con cui suoniamo: l’urgenza di sputare riff e groove.

Come descriveresti la nascita di Doombo?

Come quasi tutte le nostre canzoni, da una jam in sala in prove. In questo caso erano solo Michele alla batteria e Milo al basso. Milo spara un groove devastante che ci ha portato alla mente la scena degli elefanti rosa di Dumbo. Questi enormi animali che si muovono a ritmo di marcia e diventano fluidi, mutevoli. Esattamente come succede alla nostra Doombo. Un riff quasi marziale ma che diventa morbido nel ritornello. Lavoriamo spesso cercando un mondo immaginifico in cui far vivere la canzone e in questo caso l’abbinamento è stato immediato.

Si sa che un’immagine vale più di mille parole, ma le note non sono da meno! Il lavoro è stato valorizzato da una clip?

Abbiamo cercato di ricreare in maniera non didascalica il senso di ossessione alla base della canzone, a partire dal giro di basso. Il testo parla di una allucinazione, un delirio da febbre altissima. Lo abbiamo reso in maniera non didascalica con una figura umana dai contorni non definiti, che danza in maniera morbida, quasi mutando forma. Si ripete, si moltiplica fino a riempire tutti gli spazi, come una voce nella testa che finisce per coprire tutto il resto.

Il lavoro sarà contenuto in un EP/Album?

È il principale progetto su cui stiamo lavorando. Doombo è un po’ la vedetta. Un modo per dire: ci siamo.

Studi, gavetta, sudore e soddisfazioni… vogliamo conoscere la vostra storia, tutto il suo percorso!

Difficile dettagliare 10 anni di storia, e di storie. Sicuramente ricordiamo il nostro primo live: Sacrestia Farmacia Alcolica di Milano, pieno di amici venuti ad ascoltarci. È stata la prima volta in cui abbiamo avuto coscienza di avere qualcosa da dire. E poi centinaia di live, migliaia di giorni in sala prove a fare jam e sviscerare riff, scoprire suoni, lavorare sui groove affinché facessero battere il piedino. Tra le tappe più significative la partecipazione all’Emergenza Festival nel 2018, che ci ha portato al Tunnel per uno show memorabile e poi all’Alcatraz per la finale. E poi il periodo in cui abbiamo registrato Mister Sister. Giornate intere dedicate alla musica, totalmente immersi nel nostro mondo.

Quali sono le vostre influenze artistiche?

Potremmo parlarne per ore e ore. Tutti noi quattro proveniamo da percorsi di scoperta diversi tra di loro. Diciamo che all’interno dell’universo rock abbiamo macinato di tutto. Dai King Crimson ai Clash, dai Beatles ai Metallica. E poi tanto soul, funk, hip hop, elettronica, reggae, folk. Il divertimento è parlare tra di noi e lasciarsi contaminare dagli ascolti degli altri. Da questo punto di vista siamo cresciuti tantissimo assieme. Se dovessimo indicare qualcuno su cui ci ritroviamo pienamente tutti e quattro: Queens of the Stone Age. Perché non sono etichettabili  in un genere e hanno trovato una ricetta per creare qualcosa di personale mescolando tantissime influenze diverse.

Quali sono le vostre collaborazioni musicali?

Tra i nostri più grandi amici e collaboratori citiamo sicuramente Cristopher Bacco, produttore di Studio 2 Recordings a Padova. Con lui abbiamo sempre uno scambio molto costruttivo sui nostri brani, ci da una visione esterna ma allo stesso tempo da insider di quello che andiamo a registrare. È un grande appassionato di strumenti e suoni vintage, per cui registrare da lui è un po’ entrare in un parco giochi in cui sperimentare nuove soluzioni: abbiamo usato chitarre degli anni ‘50, un organo Hammond, fuzz e distorsori introvabili per dare un tocco ancora più speciale e ricercato alle nostre canzoni.

Quali sono i contenuti che volete trasmettere attraverso la vostra arte?

Istinto, energia, ricerca, cura, libertà.

Parliamo delle vostre pregiate esperienze di pubblicazioni, live, concerti o concorsi?

Ormai sono diversi anni che riversiamo sudore e watt sui palchi: ARCI Bellezza, Cascina Martesana, Legend Club, Nuovo Armenia o il vecchio Ligera per citarne solo alcuni. Spesso proponiamo noi un format di più artisti che condividono ispirazioni sonore o mood ma non per forza lo stesso genere.

Abbiamo partecipato a diversi contest, vincendone alcuni come quello organizzato dal Red Wine Smoking Club. Al famoso Emergenza Festival  siamo arrivati fino in finale, suonando così sul palco dell’Alcatraz.

Una delle esperienze più particolari però sono gli spettacoli/talk organizzati con Giampaolo Musumeci e Beppe Salmetti, che ci hanno portato anche sul main stage del Festival di Emergency.

Nel 2021 abbiamo debuttato con Mister Sister, il nostro primo LP, uscito per Jetglow Recordings e registrato allo Studio 2 di Padova con Cristopher Bacco. È stato un po’ un tirare le somme dei primi anni e stabilire un punto di partenza dal punto di vista sonoro. Da lì in poi sarà tutta evoluzione.

Cosa ne pensate della scena musicale italiana? E cosa cambiereste/migliorereste?

Sai, è difficile per noi parlare di scena musicale italiana. Ci sono alcuni ambiti, legati magari a generi più estremi, in cui la scena offre sempre nuovi progetti  interessanti. Ma dopo la grande ondata Indie-ItPop non c’è più una scena underground che sbarca nel mainstream, con i pro e contro che questo rappresenta. Dopo l’exploit dei Maneskin e la fama nazionale finalmente conquistata da Manuel Agnelli, molti rockers hanno sperato che i riflettori andassero a illuminare tutto un universo di band emergenti che ancora amano quel tipo di energia primitiva. Al momento non sembrano esserci novità, ma chissà.

Oltre al lavoro in promozione quale altro brano ci consigliate di ascoltare?

Sicuramente il nostro primo singolo, Man On the Street. È un esempio di quello che vorremmo fare a livello musicale, con gli incroci di voci tra Milo e Michele, una chitarra dal suono graffiante e riff che si piantano nel cervello, semplici ma non banali, il tutto su una base ritmica energica e dall’andamento sexy.

Quali sono i vostri programmi futuri?

Dall’uscita di Mister Sister abbiamo raccolto decine e decine di riff succulenti. Adesso li stiamo lavorando e raffinando con la nostra solita cura maniacale per uscire con un EP entro l’inizio del 2025. Doombo è un po’ l’apripista di questa nuova fase di scrittura in cui abbiamo aperto gli orizzonti.