Con grande riconoscenza diamo il benvenuto a BENNA, artista poliedrico che sta facendo incetta di consensi coi suoi lavori musicali. Recentemente impegnato nella promozione del lavoro LA COSA PIÙ BELLA CHE HO VISTO, condividiamo con piacere l’intervista a BENNA, grati e onorati per il suo tempo e la cortesia riservataci! Scopriremo interessanti retroscena musicali e di vita, BENNA ci racconterà con quelle che sono le collaborazioni, fra le quali con Music & Media Press, le esperienze, e i progetti futuri. Entriamo nel vivo dell’intervista e diamo un caloroso benvenuto a BENNA!
Com’è nata tua la passione per la musica?
Direi che è nata con me e, un po’ come tutti, rovistando tra i dischi e i cd di mio padre. Non c’è una data di nascita, però so che quando ho sentito il rap, da bambino, quello americano, mi sono detto “ecco, questo è quello che piace a me”. Non mi limito ad un genere, ma non posso negare che abbia cambiato per sempre il mio concetto di “musica”
Cosa significa e com’è nato il nome BENNA e il suo personaggio, il suo sound?
Benna è solo il soprannome che un mio compagno di squadra mi mise addosso tantissimi anni fa, derivante dal mio cognome (Benati), nessun altro significato, non ha una storia poetica. Anche il personaggio è un non-personaggio, sono così e penso che nella musica spesso manchi la sincerità, io voglio coltivarla. Mentre il sound è l’unione tra le mie influenze negli ascolti e le mie scarse capacità di intonare qualsiasi nota. Fortunatamente ci pensa Mirino con le sue produzioni a dare musicalità e dove voglio un ritornello fatto in un certo modo, so che posso affidarmi a tanti artisti che stimo, su tutti Nicholas Manfredini, come si vede dalle mie pubblicazioni.
Da un incontro o da uno scontro, tutto può essere ispirazione. Com’è nato il lavoro LA COSA PIÙ BELLA CHE HO VISTO?
Volevo scrivere una canzone che fosse spirituale. Non perché io lo sia particolarmente, ma volevo omaggiare la poesia della vita, dei nostri sensi, sfogare un bisogno di trovare forza in un momento particolarmente difficile per me. Volevo ricordarmi la magia dei pranzi di mia madre, la bellezza dei libri di mio padre, l’innocenza delle corse dei miei figli. Volevo e avevo bisogno di ricordarmi che ovunque io mi giri la vita mi ha dato bellezza da scovare. Volevo ricordarmi di andare a guardare negli angoli, in un momento in cui tutto sembrava vuoto e io mi sentivo impotente.
E com’è nato il suo videoclip?
Dalle sconfinate idee di Luca Fabbri. Volevamo qualcosa di semplice, come tuffarsi in acqua. È a suo modo un inno all’ottimismo e al coraggio. Non abbiamo i mezzi economici per competere con le grandi produzioni, ma abbiamo le idee e con le idee possiamo realizzarci. Ma tutto il merito lo giro a Luca, perché i miei video sono mie idee che lui trasforma completamente e le rende migliori.
È prevista l’uscita di un disco il prossimo mese; puoi anticiparci qualcosa?
Diciamo che non potrei, ma che sono uno spoilerino, come Fedez. Ho deciso, dopo il “vecchio” disco, uscito il 30 marzo 2020, di fiondarmi su un album grosso, per celebrare in qualche modo i miei 40 anni (il disco esce l’8 ottobre, io compio i 40 il giorno prima).
Si chiamerà 20×2 e tutto nasce dal titolo, deciso all’inizio di tutto. 20×2 fa 40, come i miei anni, ma è anche un modo di dire che mi sento solo un ventenne che ha raddoppiato la sua età e poi, ancora un significato: 20 tracce per 2 persone, che sono i miei figli. Sono le tracce più sincere di me. In questo disco c’è tutta la mia intimità, tutta la mia fragilità. È un album che dura più di un’ora, complesso e pieno di scrittura, ma è anche una sfida per chi deciderà di ascoltarlo. Chi lo farà, alla fine, mi conoscerà come se fossimo amici da sempre. Saprà il nome del mio bar preferito e le iniziali dei nomi dei miei bimbi. Saprà chi sono i miei genitori, saprà che rapporto ho con il paese dove vivo. È tutto spiegato nell’ultima traccia. È l’ultima proprio perché voglio che chi la senta abbia ascoltato tutto di me.
Cos’è per te l’arte, la musica?
La seconda cosa nella mia vita, dopo la mia famiglia, sia quella di sangue che quella affettiva. L’arte per me è necessità d’espressione, io ho la scrittura, ma credo valga per ogni forma artistica. Però è anche stimolo allo studio, perché penso che chiunque voglia creare qualcosa a livello artistico, debba spingersi a migliorarsi, attraverso lo studio. Io sono uno di quelli che pensa che non ha nulla da dire, non fa una canzone. Se finirò le cose da dire, allora smetterò di fare i dischi.
Quali sono le tue influenze artistiche?
In primis direi i cantautori. De André, Guccini, Gaber e il teatro-canzone, De Gregori, Lucio Dalla, ma anche Capossela, Mannarino, Cisco e i Modena City Ramblers (Cisco con cui ho la fortuna di collaborare, sarà anche ospite nel mio album). Poi sicuramente il rap degli anni ’90, con cui sono cresciuto. In questo disco in particolare tra gli ascolti rap mi hanno accompagnato Willie Peyote, Dargen D’Amico e Dutch Nazari, autori che sanno dare profondi significati a quello che scrivono, anche se in modo molto diverso l’uno dall’altro. Poi tanti altri ascolti che mi piacciono, su due piedi potrei citare i Gogol Bordello, il folk più o meno in ogni sua forma mi ispira molto.
Quali sono le tue collaborazioni musicali?
Innanzitutto Mirino e Nicholas Manfredini. Sono amici, fratelli, ma verso i quali nutro profonda stima artistica oltre che sul piano umano. Mirino si occupa di tutte le basi delle mie canzoni e penso sia quasi infallibile per quello che voglio io. Nicholas mi fa anche da direttore artistico, è sempre presente. Ma è anche un grande cantautore e scrittore, per cui è anche artisticamente presente in tanti miei brani. Questa corsa la facciamo in tre, sempre.
Poi mi piace collaborare con artisti che ammiro ma anche e soprattutto con uomini (e donne) che ammiro. Non sarei in grado di scindere le due cose. Nel mio disco siamo in tanti ed ognuno ha qualcosa che vorrei anche io. Citarne alcuni piuttosto che altri non mi pare giusto. Ho detto di Cisco, che ho portato in un brano rap e me ne vanto un pochino, ho detto di Nicholas e Mirino, ma ripeto, saremo in tanti e ognuno ha dato un forte contributo al disco.
E la collaborazione con Music & Media Press nel lavoro in promozione?
Elisa Serrani, la titolare di Music & Media Press, è di una precisione disarmante. È sempre a contatto con l’artista e lo è in modo umano. Non so come faccia, io non le sto dietro. Sono molto felice di essermi affidato a lei per la promozione e lo dico senza paura dei numeri, che sono fini a se stessi. Ho imparato a non farmi fregare dai numeri di visualizzazioni o ascolti. Sarebbe limitativo misurare l’arte con i numeri. Se vogliamo giudicare il lavoro di Elisa e Music & Media Press, diciamo che se fossi famoso la assumerei a tempo pieno!
Quali sono i contenuti che vuoi trasmettere attraverso la tua arte?
In questo momento della mia vita ho un doppio obiettivo: trasmettere qualcosa che possa avere un valore, anche per i miei figli, trasmettere coraggio, anche attraverso le mie paure, ma ho anche l’ambizione di tentare di mettere un po’ di poesia, tipica dei grandi cantautori. Non so se riesco a farlo, ma studio per arrivarci. Non per anticonformismo fine a se stesso, ma perché sento la necessità di valorizzare la poesia, ma in forma canzone.
Parliamo delle tue pregiate esperienze di live, concerti e concorsi?
Inizio col dire che sono fermo con i live da anni, perché voglio passare i fine settimana a veder crescere i miei figli, ma la voglia è tanta e so che riprenderò prima o poi. Nella mia vita ho fatto centinaia di concerti per fortuna, girando buona parte dell’Italia, ma erano altri tempi, purtroppo molti locali hanno chiuso, alcuni storici, come il VooDoo a Comacchio.
Mi piacciono i posti piccoli (ma forse è perché non ho mai vissuto grandi situazioni) e il contatto con la gente. Sul palco mi dissocio da me stesso, ho sempre vissuto qualcosa davanti a un microfono che non sono mai riuscito a spiegarmi. Fino a non ricordare cosa fosse successo poco prima.
Mentre non ho un buon rapporto con i concorsi. Non mi piace mettermi in gara con altri artisti, se sento qualcuno che mi piace preferisco ascoltarmi la sua musica o chiedergli un pezzo insieme. Ne ho fatto qualcuno, non ho mai vinto niente, ma penso anche che la mia musica non sia da primo ascolto, mentre nei concorsi le persone non hanno molto tempo di decidere. Ovviamente, merito a chi mi ha battuto quando li ho fatti!
Cosa ne pensi della scena musicale italiana? E cosa cambieresti/miglioreresti?
Credo che sia piena zeppa di artisti che potrebbero fare cose bellissime ma si devono piegare alle esigenze del mercato. In questo io, che non sono un professionista, amo la mia libertà. So che per molti non è così. Penso a tanti rapper, che devono scegliere se essere radiofonici o esprimere quello che hanno. Rispetto la loro scelta e non posso dire che davanti a quella decisione io farei diversamente, non posso saperlo. Ma vorrei che gli artisti avessero maggiore libertà d’espressione. Chi lo fa, fa cose stupende, come ad esempio “V”, l’ultimo disco di Mannarino, un capolavoro assoluto. Ma lui è fuori da ogni legge di mercato.
Oltre al lavoro in promozione quale altro brano ci consigli di ascoltare?
Mi stai chiedendo di scegliere uno tra i miei figli praticamente! Difficile.. potrei dirti “Perenne” perché è il miglior testo che io abbia mai fatto, ma è già stato un singolo. Potrei dirti “Santa Musica” perché tutt’ora lo ritengo un brano magico, ma anche questo lo abbiamo già pubblicato. Allora dico “Punti di domanda” perché è quella canzone che parla di coraggio, di come provare a trovarlo nei momenti peggiori. È il pezzo che apre il disco, non a caso.
E poi c’è quell’ultima traccia del disco.. ma li ci deve arrivare solo chi ha pazienza.
Come stai vivendo da artista e persona questo periodo del covid-19?
Da artista devo ammettere che l’ho vissuta bene personalmente, ma io non sono un musicista di professione. Male a livello di empatia, perché c’è bisogno di arte e da ormai tanti tanti mesi la stanno spegnendo. C’è una forte polemica in questi giorni per i permessi per i comizi politici mentre continuano a contingentare gli ingressi ai concerti. Ecco, questo è lo specchio di come viene considerata l’arte nel nostro paese.
A livello personale ho sofferto per i miei figli, per ciò che mio malgrado ho dovuto negargli e per distanze che si porteranno dietro per un po’. Ma è anche il motivo per cui mi arrabbio quando qualcuno dice che siamo cavie del sistema sanitario e della campagna vaccinale. Si, siamo cavie, forse. Ma io sono felice di essere la cavia che può servire a dare un futuro più sicuro ai miei figli. Speravo che questa pandemia portasse qualcosa di buono, soprattutto portasse empatia. Sono convinto che in qualche caso isolato questo mutamento sia avvenuto. In me di certo.
Sorprese e anticipazioni. Cosa bolle in pentola e a cosa stai lavorando?
Dopo questo disco vorrei fare qualcosa di totalmente diverso, a livello di scrittura ma anche di sonorità. Mi sto esercitando, sto studiando, sto ascoltando tanta musica. Credo che dopo un lavoro lungo come questo disco non abbia senso continuare a fare la stessa cosa. Voglio confrontarmi con tecniche diverse di scrittura, con un nuovo (per me) modo di comunicare. So bene cosa voglio fare, ma non vado oltre, adesso voglio godermi l’uscita di questo disco e vedere cosa la gente penserà. Non che abbia paura dei giudizi, però quando si pubblica qualcosa è ipocrita dire che non ci aspettiamo qualche reazione dal pubblico, altrimenti non lo faremmo!