Viva Lion è un nome che cela in sé positività, grinta e coraggio, scelto da Daniele Cardinale come nome d’arte. Con altrettanta grinta e positività la sua arte fa breccia nelle nostre orecchie e nelle nostre memorie: una gioviale vigoria e una carriera che vanta numerosi e importanti collaborazioni, fanno presagire un lungo cammino sulla strada delle migliori produzioni musicali italiane.
Artista colto musicalmente e non, pronto a nuove sfide, ha da poco pubblicato l’album “Bona Fide” per Flipper Music, dal titolo positivo e genuino. Un modo di Viva Lion di raccontarci le sue esperienze, raccolte nei quattro anni necessari a raccogliere e realizzare in musica le idee, facendoci sognare di tematiche non banali, lontane da luoghi comuni e cliché.
È un invito ad affrontare le difficoltà con atteggiamento positivo. Viva Lion non ha una traduzione letterale: Viva è una parola usata in lingua italiana, anglofona e ispanica, dunque internazionale, e riflette il mio girovagare tra Europa e Nord America. E il profeta Daniele (il mio nome di battesimo), fu quello ingiustamente condannato e gettato nella fossa dei leoni.
Come tutti i grandi artisti, la passione della musica è qualcosa che li accompagna fin dai primi anni. Da quanto tempo ti accompagna la passione per la musica?
C’è da sempre, letteralmente da quando sono nato. Vengo da una famiglia numerosa e di musicisti: mio nonno viveva in Francia e suonava la tromba jazz, i miei fratelli cantavano in un coro polifonico, mio padre suonava l’armonica.
Com’è nato il tuo primo album e cosa ci racconti dell’esperienza nel realizzare “The Green Dot Ep”?
È un concept album su un rapporto a distanza Roma – Los Angeles, nato da canzoni scritte per una persona e poi diventate un EP. È stata la prima registrazione da solista, con l’aiuto di amici musicisti e produttori.
Ascoltando la maturità della tua musica e l’intensa attività artistica, non potevamo non chiederti qualcosa riguardo le tue collaborazioni. Alcune delle quali sono diventate come i legami di sangue! Quali sono stati i musicisti e gli incontri più significativi per te?
Grazie! Sicuramente aprire i concerti di star internazionali è stato utile, ho osservato l’aspetto professionale prima di quello artistico. Stereophonics, The Fratellis, Xavier Rudd, per citarne alcuni, sono stati molto affettuosi e “supportive” nei miei confronti. Ricordo quando Xavier Rudd e la sua band hanno voluto che salissi sul palco con loro nell’ultima data insieme, dicendomi “Now you’re part of the family”. Emozionante. E poi il concerto più improbabile, in Messico, con una band locale giovane e incredibilmente talentuosa.
Bona Fide significa “in buona fede” in latino, e come per il “viva” è utilizzato anche in lingua anglofona. È parte del linguaggio giuridico, e sottolinea una azione genuina, appunto in buona fede. Le canzoni del disco le vedo così. È un album che ho scritto e registrato in un lungo periodo, 4 anni di alti e bassi, stop and go. A volte mi sembra come un mixtape, di quelli che si pubblicano nell’hip hop.
Nonostante il periodo e le difficoltà nell’aprirci alla vita per come la intendevamo prima del covid, quali sono i tuoi programmi per il prosieguo?
Il futuro è davvero incerto visti i tempi, e a differenza dei dischi passati, con tour, concerti, lunghissimi viaggi, questa volta vorrei che le canzoni del disco si facciano strada da sole, con il passaparola, onestamente, in buona fede. Ho alcune date e un calendario in aggiornamento compatibilmente con i limiti di questo momento così delicato. Presenterò il disco in alta montagna, oltre i 2.000 m di altezza, all’interno del museo della funivia che si trova sul Gran Sasso. Avrei dovuto farlo il 25 settembre, giorno di uscita di Bona Fide, ma c’è stata una tempesta di neve (!) ed è stato rimandato a domenica 4 ottobre.
Viva Lion!