Marco Ligabue e mezzo secolo di grande musica


Ci sono persone, come l’artista di cui parliamo oggi, che hanno un grande dono. Ma il talento innato se cresce in un habitat e un ambiente familiare favorevoli, riesce a esprimere il meglio di sé, elevando il potenziale e divenendo un tutt’uno con la persona.

È il caso di Marco Ligabue: figlio e fratello d’arte. Il percorso, condiviso col fratello maggiore e storico cantautore nazionale, è fatto di una storia artistica bella e appassionata. Dalla famiglia, col germe dell’arte, Marco Ligabue continua con interessanti e proficue esperienze, passando per palchi sempre più prestigiosi, con riconoscimenti ambiti, fino ad oggi che compiuto il mezzo secolo può tracciare un bilancio più che positivo. Grazie a questa maturità Marco Ligabue produce nel tempo brani sempre più corposi e interessanti, che si condensano nell’album che dal 6 novembre scorso ascoltiamo in radio: “TRA VIA EMILIA E BLUE JEANS“.

Grazie Marco del tuo tempo e della tua estrema gentilezza. Vogliamo conoscerti meglio e la domanda è d’obbligo: com’è nata la tua passione per la musica?
Nella musica ci sono nato, perché i miei genitori avevano una balera. Quando avevo 4-5 anni mi portavano in questo locale, il “Tropical” perché loro organizzavano serate di musica dal vivo. La vera scintilla, però, è scoppiata a 15 anni, quando ho preso in mano la chitarra acustica e ho iniziato a sfogliare il canzoniere per imparare i primi accordi sulle canzoni dei grandi cantautori. Qui è nata la mia grande passione per la musica.

Raccontaci delle tue prime collaborazioni, dei RIO e Little Taver & His Crazy Alligators
Prima di diventare cantautore ho avuto fondamentalmente due fasi. La prima con Little Taver & His Crazy Alligators: siamo stati insieme dieci anni. Era una band di puro rock’n’roll e di puro divertimento. Ci sentivamo i Blues Brothers di Correggio, suonavamo musica Anni ’50 con testi ironici, ci interessava andare nei locali, girare l’Italia, cominciare a scoprire i primi palchi e portare la nostra allegria, il nostro rock’n’roll, la nostra voglia di far ballare. Dopo quei dieci anni meravigliosi ho cercato qualcosa di più profondo, per andare a scoprire qualcosa di diverso nella musica. Così ho fondato i Del Rio che poi sono diventati i Rio e ho iniziato a scrivere le mie prime canzoni per la band. Siamo partiti e abbiamo fatto un percorso bellissimo, abbiamo fatto quattro dischi, tantissimi concerti e siamo riusciti ad andare al Festivalbar e anche su alcuni Network nazionali. Ho iniziato a capire, così, un po’ meglio il mondo della musica italiana.

Com’è nato l’album “Mare Dentro”? Che ha portato a vincere il prestigioso premio Lunezia…
“Mare dentro” è il mio primo disco da cantautore ed è nato nella fase di passaggio quando sono uscito dai Rio e ho voluto mettermi in gioco in prima persona. Già scrivevo tante canzoni nella band però in quel momento avevo voglia di metterci la mia faccia, la mia voce, me stesso, ed è un disco che ho scritto principalmente nelle spiagge della Sardegna. In quel periodo stavo con una ragazza sarda (la mamma di mia figlia) e mi andavo a isolare in queste spiagge. Tutte le canzoni del disco sono nate lì, fuori stagione, nel mare d’inverno, cercando di tirare fuori tutto il mare emotivo che avevo dentro.
Il Premio Lunezia l’ho vinto, in realtà, per i testi del mio secondo disco che si chiama “L.U.C.I. – Le uniche cose importanti” e sono contento perché in quel disco ho messo delle tematiche sociali come “Il silenzio è dolo” che è una canzone per la legalità contro le mafie e mi ha fatto molto piacere ottenere quel riconoscimento.

Com’è il rapporto con tuo fratello Luciano e quanto ha influito nella tua passione per la musica?
Il rapporto con mio fratello Luciano è un rapporto bellissimo, ci siamo sempre sostenuti a vicenda, ci siamo scoperti un po’ tardi perché abbiamo dieci anni di differenza, quando io avevo due anni lui ne aveva dodici, quando io ne avevo cinque lui ne aveva quinduici. Diciamo che era difficile condividere delle cose, ma abbiamo iniziato a farlo quando ho iniziato a suonare la chitarra; avevo 15-16 anni e la distanza d’età si è ridotta. Da lì ci siamo proprio scoperti. La cosa bella è che avendo in comune questa grande passione per la musica abbiamo sempre potuto confrontarci sui nuovi dischi che uscivano, andare a vedere i concerti insieme. Io l’ho supportato dall’inizio, portandogli gente ai primi concerti, vendendogli il merchandising, fondando il suo fan club, il suo sito internet. Siamo due fratelli molto uniti e la musica ci ha tenuto ancora di più insieme.

È più un pregio o più un difetto essere due musicisti in famiglia?
È un pregio e un difetto essere due musicisti in famiglia ma, guarda, secondo me avere un fratello come Luciano è come avere a disposizione un’Università, un Master sulla musica, mi ha insegnato tanto. Per me è stato solo un pregio, e poi diciamocelo, mia madre se la gode ancora di più: va ai concerti di Luciano e viene ai miei, ascolta i dischi di Luciano e ascolta i miei quindi, per lei, musica raddoppiata.

Da cosa trai ispirazione per scrivere la tua musica?
Tendenzialmente scrivo di cose che osservo o che vivo. Non ho mai scritto di cose inventate. Ci deve essere qualcosa che mi tocca le corde emotive quindi. scrivo canzoni d’amore quando vivo una fase d’amore particolare, come l’inizio una storia, oppure quando finisce. Fasi dove ovviamente l’emotività è amplificata al massimo. Oppure scrivo di tematiche sociali come la legalità, come ho fatto per “Il silenzio è dolo” perchè ho voluto mettere in luce la storia un ragazzo di vent’anni che denunciava brogli nel suo paese o come quando ho voluto mettere in luce, con “Un attimo fa” ad un commercialista di Mondragone che si stava ribellando al pizzo dei Casalesi della sua zona. Ci sono storie che, quando le sento, mi stimolano particolarmente nello scrivere.

Com’è nato il tuo nuovo album, che ascolteremo in radio dal 6 novembre, “TRA VIA EMILIA E BLUE JEANS”?
Diciamo che questo disco ci ho messo cinquant’ anni a farlo perché è la raccolta della mia musica. Li ho compiuti a maggio e avrei voluto festeggiare con una grande festa, con un disco e con tante cose. Il lockdown ci ha ribaltato un po’ i programmi. Ho voluto raccogliere il meglio che ho fatto nei miei percorsi musicali, con i Little Taver, con i Rio e da cantautore: ci sono diverse ghost track e 11 tracce ufficiali che delineano il mio percorso e il lockdown mi ha dato l’impulso perché sono già cinque i brani che ho fatto uscire da aprile ad oggi.

Come stai vivendo, artisticamente e personalmente, le vicende di questo strano 2020 a causa del covid-19?
Ci si arrangia, ci si adegua, ovviamente io che sono uno che scalpita per fare concerti e non vedo l’ora di salire sul palco. Pensare che negli ultimi otto anni ho fatto 600 concerti e l’idea di dover stare fermo con i live mi tiene un po’ frenato e ho ho cercato di trasferire quest’energia che avevo nello scrivere canzoni e altri nuovi progetti. Ho scritto un libro che uscirà il prossimo anno e spero che al più presto si possa tornare sul palco. Personalmente, è stata la prima estate in cui sono andato in vacanza dopo tanti anni e me la sono goduta, ma la difficoltà vera è che mia figlia vive in Sardegna. A volte risento molto di questa distanza e, con il Covid di mezzo, dobbiamo fare un po’ i conti con gli spostamenti.

Quali sorprese ci riserverai per il futuro?

La sorpresa principale l’ho svelata nella conferenza stampa sul disco, ho scritto il mio primo libro, uscirà nel 2021. Sono racconti dei miei cinquant’anni. All’inizio del prossimo anno ve ne parlerò meglio.