Accogliamo calorosamente e spalanchiamo le nostre curiose orecchie a Tommaso Sangiorgi , artista poliedrico che sta raccogliendo ampi consensi sulle piattaforme digitali e non solo. Recentemente impegnato nella promozione del lavoro “Penso a noi”, leggiamo con curiosità l’intervista a Tommaso Sangiorgi , grati e onorati per il suo tempo e la cortesia riservataci! Avviciniamoci con garbo e curiosità al mondo musicale e personale, Tommaso Sangiorgi ci racconterà con quelle che sono le collaborazioni, le esperienze, e i progetti futuri. Andiamo a capofitto a fondo e diamo un caloroso benvenuto a Tommaso Sangiorgi !
Com’è nata tua la passione per la musica?
La mia passione per la musica nasce quando avevo circa sei anni. Mia mamma mi faceva ascoltare tantissima musica, quella con cui era cresciuta lei: i grandi cantautori italiani, come Lucio Battisti, Lucio Dalla e molti altri. Ero letteralmente cullato da quei suoni, da quelle parole.
Poi, a scuola, durante una recita, cantai La Gabbianella e il gatto di Ivana Spagna davanti a tutta la scuola e ai genitori. Ero terrorizzato all’idea di cantare davanti a così tante persone, ma quando finii ricevetti una standing ovation fortissima.
In quel momento nacque in me il primo amore per il palco — e capii anche quanto una canzone potesse emozionare, sia chi la ascolta sia chi la interpreta. Da lì è partito tutto: quella scintilla, quel “fucherello” come lo chiamo io, si è trasformato nel tempo in una vera passione.
A quindici, sedici anni ho iniziato a scrivere le mie prime canzoni, insieme al mio migliore amico, e da allora non ho più smesso.
Il personaggio può essere una maschera, protettiva quando ci esibiamo. Calato il sipario, chi troviamo dietro Tommaso Sangiorgi e il suo personaggio?
Sono quasi l’opposto di quello che si potrebbe pensare ascoltando le mie canzoni.
Nella vita di tutti i giorni sono una persona ironica, leggera, a volte anche un po’ un cazzone — cerco sempre di vedere il lato positivo delle cose. Eppure, nelle canzoni, emerge un lato di me completamente diverso: quello riflessivo, emotivo, più malinconico.
Scrivo spesso di momenti tristi o difficili che ho vissuto, e non so perché ma non mi viene mai naturale scrivere canzoni felici. La musica per me è come un telescopio: mi permette di zoomare su quella parte più profonda e fragile di me.
Negli ultimi tempi sto cercando di far convivere anche il mio lato più ironico e spensierato nel progetto musicale, di portare un po’ di luce dentro le canzoni. Però, alla fine, credo che quel lato malinconico resti sempre il mio punto di partenza.
Come descriveresti la nascita di “Penso a noi”?
Penso a noi è nata subito dopo la fine della mia relazione con la mia ex ragazza.
Ricordo che ci eravamo salutati definitivamente e, appena tornato a casa, la prima cosa che feci fu stendermi sul suo cuscino, quello che aveva usato fino a pochi giorni prima. Sentire ancora il suo profumo mi ha travolto, e da lì mi sono venute in mente alcune frasi.
Preso dalla nostalgia, ho iniziato a canticchiare: “Il mio cuscino sa dei sogni tuoi”. Quella frase è stata il punto di partenza. Il giorno dopo sono andato in studio, il mio produttore ha iniziato a improvvisare al piano e da lì abbiamo costruito tutto il resto.
La canzone è nata da quel momento di malinconia, e inizialmente l’ho pubblicata come un semplice reel su Instagram, nel febbraio del 2025, in una versione di circa un minuto e mezzo.
Poi, il 15 agosto 2025, mi ha scritto in privato una ragazza di nome Alice — che non conoscevo — e da lì è successo qualcosa che ha cambiato completamente il senso del brano.
Ed è proprio qui che lascio la parola ad Alice, perché è stata lei a trasformare Penso a noi da una semplice canzone su due ex a una canzone che parla di perdita, nel senso più profondo del termine.
A: Ricordo un giorno di inizio giugno, quando Matthew mi disse: “Guarda questo video su Instagram.” Era il reedìl di Tommaso della canzone “Penso a noi”. Proprio in quei giorni scoprivamo che il cancro era tornato a farci visita.
Di quel breve video, una frase mi colpì più di tutte:
“Urliamo stesi che il peggio è finito e col fiato sfinito, più forte correre.”
Guardai Matthew e gli dissi che anche noi, insieme, avremmo urlato di nuovo che il peggio era finito. Perché abbiamo sempre creduto di essere invincibili. Perché l’amore che univa il nostro gruppo sembrava così forte, da aiutare guarire anche il cancro.
Ricordo quei brevi viaggi in auto da casa all’ospedale, in cui mi chiedeva di mettere sempre quel reel. E ogni volta: “Chissà quando uscirà…”
Matthew però non ha potuto ascoltare quella canzone con tutti noi.
Il 15 agosto, in una bella giornata di sole, è volato via.
Come se volesse ricordarci che quel sole, che era lui, non deve mai smettere di splendere dentro di noi.
Dopo, ci siamo guardati negli occhi e abbiamo deciso di scrivere a Tommaso, chiedendogli se e quando la canzone sarebbe uscita. Perché noi abbiamo ancora bisogno di crederci: che il bene, quello vero, non svanisce mai.
Da lì, Tommaso ci ha sinceramente stupiti.
Ci ha donato un affetto e un’attenzione che non ci aspettavamo. Spesso i nostri coetanei faticavano a capire davvero come ci sentissimo, cosa stessimo vivendo, quanto fosse grande il dolore.
Ma lui no. Lui era lì, pronto a dirci: “Io ci sono, per davvero.” Come se fosse uno di noi da sempre, come se Matthew non fosse stato solo il nostro amico, ma anche il suo.
In quel gesto c’era qualcosa di raro, di profondamente umano,ed è stato un piccolo miracolo di empatia in un momento in cui sentivamo di aver perso tutto
Si sa che un’immagine vale più di mille parole, ma le note non sono da meno! Il lavoro è stato valorizzato da una clip?
La canzone è stata assolutamente valorizzata da un videoclip che hanno deciso di girare gli amici e la famiglia di Matthew. Da lì ha preso tutt’altro valore: è diventata una canzone che ricorda una persona realmente scomparsa, ma che porta con sé anche un messaggio profondo di vita.
Il video, infatti, raccoglie tanti momenti vissuti con Matthew e trasmette quello che lui stesso ci ha insegnato: nonostante tutto, nonostante gli ostacoli che la vita può metterci davanti, bisogna continuare a sorridere e a lottare.
La storia di Matthew ha aggiunto alla canzone un significato che prima non aveva, un livello emotivo nuovo. Il video racconta anche quanto forte fosse il legame tra lui e i suoi amici, quanto gli siano stati vicini e come insieme abbiano condiviso il dolore e la voglia di reagire. È diventato un simbolo di amore, amicizia e resistenza.
E l’album da cui è estratto? Oppure è in cantiere un album che lo conterrà?
No, al momento non ho in programma di pubblicare un album. Credo che per arrivarci servano tempo e, soprattutto, tanta maturità artistica. Un disco richiede un percorso più profondo, una visione più ampia.
Per ora sto procedendo per singoli, passo dopo passo, cercando di crescere e di capire sempre meglio la direzione che voglio prendere.
Studi, gavetta, sudore e soddisfazioni… vogliamo conoscere la tua storia, tutto il suo percorso!
Oltre a essere un cantautore, sono laureato in Scienze della Comunicazione all’Università di Bologna e, tra musica e lavoro, sto cercando di concludere la magistrale a Reggio Emilia.
Spero che, quando uscirà questa intervista, mi mancherà solo un esame: tra pochi giorni devo dare il penultimo.
Lavoro come social media manager per aziende che operano nel mondo dell’architettura e dell’interior design.
Per quanto riguarda invece la mia formazione artistica, un momento molto importante è stato un live che feci al liceo. Fu la mia professoressa a spingermi (anzi, a costringermi!) a cantare davanti a tutte le scuole della città, in occasione dell’evento One Billion Rising contro la violenza sulle donne.
Per quell’occasione cantai una canzone scritta dal mio migliore amico, Francesco Miserocchi — per tutti “Mise”. Ricevetti un bellissimo feedback dal pubblico, e da lì nacque la voglia di continuare: prima un mixtape insieme, poi un EP dove per la prima volta scrivevo io le mie canzoni.
Ricordo che all’inizio passavo ore a cercare la formula giusta per rendere i ritornelli davvero emotivi. Scrivevo e riscrivevo finché non trovavo esattamente ciò che avevo in testa, anche se a volte facevo fatica a tradurre in parole quello che sentivo. È stato un percorso lungo, ma anche una delle parti più formative del mio modo di fare musica.
In quel periodo non mi chiamavo ancora Tommaso Sangiorgi, ma usavo uno pseudonimo: DTJ, che suona un po’ come un nome da Transformer. Con quel nome ho pubblicato diverse canzoni a cui sono ancora molto legato:
la prima è “Cambia il Senso”, un brano a cui ho fatto partecipare tutte le coppie della mia città; poi “Una Canzone Ci Salverà”, in featuring con una mia grande amica, Caterina Scaioli; “Gli Invincibili”, che ho scritto per mio papà; e infine “Ravenna”, dedicata alla mia città durante il periodo dell’alluvione.
Sono tutte canzoni che considero fondamentali per la mia crescita artistica e personale.
Ancora oggi considero la “gavetta” qualcosa che non finisce mai: ogni live, ogni esperienza continua a insegnarmi qualcosa. Ora stanno arrivando le prime soddisfazioni :più concerti, più persone che ascoltano .
Francesco, il mio migliore amico, continua a essere una figura importantissima per me. Anche se ha smesso di scrivere, lo stimo tantissimo per la sua capacità di creare immagini forti parlando di cose semplici, mai banali. Prima di pubblicare qualsiasi brano, passo sempre le mie canzoni al suo “check”: ho bisogno del suo sguardo, del suo parere. È un po’ la mia bussola.
Cosa ne pensi della scena musicale italiana? E cosa cambieresti/miglioreresti?
La canzone tradizionale italiana mi è sempre piaciuta tantissimo.
Sono cresciuto con quella musica, quindi è naturale che per me resti un punto di riferimento: quando sento qualcosa che ricalca quella “ombra” lì, quella sensibilità tipica dei grandi cantautori, mi entusiasmo subito.
Anche oggi, nella scena indie, ci sono autori che riescono a mantenere quel tipo di vibe e lo trovo bellissimo.
Ammetto che a volte faccio un po’ fatica a comprendere certe nuove tendenze musicali — ma credo sia più una questione di gap generazionale che di valore artistico.
Riconosco però in molti ragazzi di oggi una voglia fortissima di farcela: sento nelle loro canzoni una spinta di rivalsa, di riscatto, spesso legata anche a storie personali o situazioni difficili, economiche o familiari.
E questo, indipendentemente dal genere o dallo stile, è qualcosa che rispetto molto.
Poi ci sono anche brani o tendenze che non riesco proprio a comprendere, ma lo dico senza giudizio: credo che ogni forma musicale, in fondo, sia un modo di esprimersi e vada rispettata come tale.
L’unico limite, secondo me, è quando la musica diventa veicolo di messaggi sbagliati — per esempio quando promuove la violenza, in particolare quella di genere, o qualsiasi forma di odio.
In quei casi non riesco proprio a trovarci nulla di positivo.
Detto questo, mi piace vedere che in mezzo a tutto ci sono ancora tante cose nuove che mi colpiscono: artisti che trasmettono sincerità, che raccontano la loro vita e che mettono tutto sé stessi nella musica.
È quella, secondo me, la parte più vera della scena italiana di oggi.
Oltre al lavoro in promozione quale altro brano ci consigli di ascoltare?
Una canzone che farei ascoltare è “Il canto delle paure”.
È un testo a cui sono molto legato, perché dentro c’è un forte desiderio di riconciliazione con mia sorella Giulia.
Dopo l’uscita del pezzo, quando gliel’ho fatto ascoltare, il nostro rapporto si è ristabilito molto, ed è stato un momento davvero bello.
Anche in questo caso, un po’ come con “Penso a noi”, ho sentito il potere che la musica può avere: quello di salvare, o almeno di essere un conforto quando le parole da sole non bastano.
Sorprese e anticipazioni. Cosa bolle in pentola e a cosa stai lavorando?
Attualmente sto lavorando a diversi singoli, a un cantautorato che sta prendendo una direzione nuova: da un lato guarda alla canzone tradizionale italiana, dall’altro strizza l’occhio a sonorità più elettroniche e contemporanee.
Stay tuned!