Il pop femminile oscilla spesso tra empowerment dichiarato e ipersessualizzazione estetica. Parla di libertà, ma a volte resta prigioniero dello sguardo esterno. La giovane cantautrice sarda Iside, dopo aver riportato la luna al centro della narrazione musicale con “Luna Calamita”, sceglie un nuovo simbolo per parlare di femminilità e desiderio: una “Collana di Perle” che brilla, si tende e poi si spezza. Un desiderio raccontato dal punto di vista di chi ne è oggetto e soggetto insieme. Nessuno statement, nessuna provocazione: solo l’immagine di un corpo che smette di compiacere e comincia a riconoscersi.
Nel testo, le perle non sono gioielli. Sono una seconda pelle, un’epidermide sociale. Il codice muto di chi è guardata e interpretata dall’esterno, dagli occhi degli altri. La collana va in frantumi, e con lei l’idea che mostrarsi, concedersi, essere leggibili – sia una forma d’amore.
Non è una liberazione. È una crepa nella dinamica.
«Io mi vendo e mi svesto d’amore» è il verso che meglio rappresenta il senso del brano. Perché non racconta una vittoria: racconta la consapevolezza di un prezzo. Dentro c’è una donna che ha dato tutta sé stessa per essere cercata, apprezzata. Per essere amata. Ma che, per la prima volta, si guarda mentre lo fa.
Non c’è una rottura evidente. Ma una frizione tra desiderio ed esposizione.
Ed è lì che nasce un punto di vista diverso: non da fuori, ma da dentro.
“Collana di Perle” è il momento esatto in cui ci si accorge che qualcosa non torna più. E che forse, quella sensualità, va riscritta da zero.
Il messaggio del singolo è nella scelta di interrompere la richiesta di legittimazione. Una scelta che attraversa una generazione di giovani donne che non cercano conferme, ma spazio. Spazio per essere chi vogliono essere. Per esistere senza dover piacere ad ogni costo. Per mettere un confine, anche quando il mondo si aspetta dolcezza.
La collana è il contatto con la materia, la pelle che torna esperienza, il desiderio che si adatta, che si camuffa per non essere frainteso. È il punto in cui il corpo diventa cosciente di essere esposto, ma non si riconosce più nello sguardo che lo osserva. Dove la sensualità non si espone, ma prova ad affermarsi. Un gesto minimo, che tenta di restituire al corpo il diritto di appartenersi. Senza chiedere il permesso. Senza scusarsi.
Iside canta:
«Aretha, chiedi un po’ di rispetto per me.»
Non è una citazione soul, non è un omaggio nostalgico. È un’invocazione, una fenditura del presente, fatta da chi non cerca più parole nuove per spiegarsi. Ma si affida a una voce più grande — non per evocare il passato, ma per chiedere a un’icona di rimanere in campo.
Perché il rispetto non è negoziabile e non ha scadenza storica: vale adesso, e ancora. Vale per il corpo, per il desiderio, per il posto che ogni donna deve potersi prendere — senza doverlo prima giustificare.
Da qui, il brano si trasforma, il punto di vista si capovolge: non più una narrazione su “come si viene guardate”, ma su come si sceglie di guardare. Iside non sta domandando attenzione. Sta affermando che il rispetto non è una concessione. È un diritto.
E in quel «Mi chiedo se cercherai la mia voce tra le note, tra la pelle, tra le perle della collana che strapperai», la domanda non è solo per un interlocutore maschile. È rivolta, soprattutto, alla parte di sé che si svuota per piacere.
È il punto di rottura tra il dover piacere e la possibilità di riconoscersi. E bastarsi. Non come gesto di chiusura nei confronti degli altri, ma come atto di amor proprio. Perché piacersi non dovrebbe essere la conseguenza di come ci vedono gli altri. Ma il primo passo per smettere di esistere solo attraverso i loro occhi.
«Questa canzone – dichiara l’artista – nasce all’idea che, per piacere, a volte ci si svuota. L’ho scritta nel momento in cui mi sono chiesta: quante parti di me ho lasciato andare per sentirmi scelta? Non volevo parlare di libertà come se fosse una conquista già fatta. Volevo mostrarla mentre si costruisce, mentre ancora inciampa.»
Musicalmente, il brano abita quella zona in cui Afrobeat e R&B si fondono in un groove arricchito da pochi elementi essenziali e un respiro caldo. È un pezzo fisico ma elegante, radiofonico senza rinunciare alla scrittura. Scrittura che colloca Iside tra le autrici che raccontano la propria generazione con il lessico del corpo e la profondità della parola.
Prodotta da Kidd Reo e disponibile in tutti i digital store per Daylite/ADA Music Italy, “Collana di Perle” segna un cambio di passo: meno notturno, più fisico. Ma resta fedele alla cifra autoriale che distingue Iside: fare del pop un linguaggio in cui estetica e contenuto convivono senza che l’una prevalga sull’altro. Con canzoni che non vogliono fare grandi proclami per ottenere attenzione. Vogliono silenzio attorno. Per farsi sentire meglio.
“Collana di Perle” non definisce la sensualità, la mette in discussione. La osserva mentre cambia forma – da costruzione per piacere, a spazio per appartenersi. E ci porta a domandarci: cosa rimane, quando ci si sveste l’anima per essere scelti? E se il rispetto passasse anche da lì, dal riscrivere il desiderio come forma di consapevolezza, non di concessione?
Forse non dà una risposta. È solo una possibilità, un passaggio. Un modo per tornare a sé. Senza scusarsi. Senza dover per forza giustificare tutto. Specialmente, davanti a sé stesse.