Con grande piacere diamo il benvenuto a Leeve, talento artistico poliedrico che sta spopolando in radio e in ascolto digitale. Recentemente impegnato nella promozione del lavoro Maledetta, leggiamo con curiosità l’intervista a Leeve, grati e onorati per il suo tempo e la cortesia riservataci! Affronteremo perciò aspetti musicali e di vita, Leeve si aprirà a noi con quelle che sono le collaborazioni, tra le più importanti come quelle con Fernando Di Cristofaro, The Orchard, Platinum Label, BDM Press, le esperienze, e i progetti futuri. Entriamo nel vivo dell’intervista e diamo un caloroso benvenuto a Leeve!
Com’è nata tua la passione per la musica?
Ho iniziato presto, a 10 anni strimpellando la chitarra e il piano. Suonavo anche l’organo in chiesa, alle messe (facevo sempre le stesse canzoni perché sono sempre stato molto pigro e non avevo voglia di impararne di nuove…). A 15 anni ho iniziato a produrre con le macchine, quindi con il computer, con l’elettronica. Potrei raccontare di tutto ma non credo sia interessante. Non ero un talentuoso prodigio o un bambino genio. Assolutamente no. Ero solo un piccoletto con gli occhi curiosi che cazzeggiava con cose che emettevano note e suoni e ogni tanto l’azzeccavo. A prescindere dal lato tecnico, accademico e pratico, la musica ha accompagnato la mia adolescenza, mi ha aiutato ad avere sempre un obiettivo, a distrarmi dalle cose che non erano importanti. A provare emozioni forti. E soprattutto a coprire quei rumori dentro al cuore che non ti fanno dormire la notte. Il volume del silenzio non può essere modulato, aumentato, quindi il silenzio non potrà mai vincere contro il rumore. Ma la musica si… lei puoi vincere contro il rumore… lei si… basta alzare il volume. Oggi dopo tanti anni ho scoperto anche la bellezza del silenzio. Ma se non basta… alzo il volume della musica.
Com’è nato Leeve e il suo personaggio, il suo sound?
Sul sound non saprei. E’ un po’ frutto di quello che mi viene al momento. Ascolto musica anni 70-80. Specialmente il funk e i brani più strani. Forse derivano da lì le mie influenze musicali. Il nome Leeve è nato per due motivi: prima di tutto per un discorso tecnico, perché Livio (il mio nome) è troppo generico e credo ci siano troppi “Livii” in giro. Meglio trovare un nome poco inflazionato per un discorso di unicità del nome. Il secondo motivo è che il cambiamento non vuol dire solo voltare pagina, ma a volte rincominciare un nuovo libro. Serviva un titolo nuovo al mio libro. Un caro amico (DJ Panico) ha iniziato in questi ultimi anni a chiamarmi “LIV”… col tempo è diventato “LEEVE”, e mi piace perché suona un po’ come “leave” in inglese, cioè “lasciare”… lasciare andare il passato per rincominciare oggi un nuovo futuro. Penso sia il nome adatto a uno come me.
Come è stato concepito il lavoro Maledetta?
E’ nato dallo spirito di squadra: la musica del componimento è nata da me, mentre il testo è nato da uno dei miei migliori amici, l’autore Fernando Di Cristofaro. Tutti ci abbiamo messo un pizzico di cuore e di passione. Contaminando i nostri gusti a vicenda.
E com’è nato il suo clip?
Il video è un “docuclip”, un mix tra un clip musicale e un documentario, girato da me con la tecnica dell’hyperlapse, da Gallarate fino a Bonifati, per un totale circa 1050 km percorsi. Ho voluto dedicare questo video a tutte quelle persone che per lavoro sono costrette a lasciare la propria terra d’origine e che ogni anno si ritrovano sulle autostrade dello Stivale per ritornare a casa ad abbracciare le proprie famiglie.
L’idea è nata chiacchierando con chi ascolta la mia musica: molti di loro sono infatti emigranti, e in un periodo storico come quello in cui stiamo vivendo, la distanza dagli affetti sembra ancora più grande e pesante, vista l’impossibilità di compiere lunghi viaggi a causa del Covid.
E l’album da cui è estratto? Oppure è in cantiere un album che lo conterrà?
Maledetta è un singolo a sé. Al momento non c’è un album in cantiere, vedremo col tempo. Preferisco fare uscire brani qua e laquando mi viene ispirazione.
Quali sono le tue influenze artistiche?
Ascolto molta musica anni 70-80, specialmente funk e discomusic. Il mio idolo in assoluto è Barry White. Ascolto tanto quella musica perché ha fatto parte di un periodo storico di innovazione, cosa che oggi vedo raramente. Oggi per la maggiore rimescoliamo gli ingredienti che furono creati in quel tempo. Usando gli stessi suoni, gli stessi strumenti e gli stessi gusti. L’unica cosa nuova oggi è l’autotune.
Quali sono i contenuti che vuoi trasmettere attraverso la musica?
Scelgo molto bene i contenuti che voglio trasmettere. La domanda che mi pongo quando sto lavorando ad un componimento è: “Questo componimento ha un cuore? Ha dei valori?”. Se si, procedo.
Cosa ne pensi della scena musicale italiana? E cosa cambieresti/miglioreresti?
La scena musicale italiana è in questo momento effervescente di artisti di grande talento. Mi spiace solo che il business vince sempre sull’arte e molti di loro faticano. Nel mondo della musica italiana, non vince chi ha talento, ma vince chi ha più soldi, e a volte non basta neanche questo, vince chi è nel circolo “giusto” delle persone “giuste”, nel posto “giusto”. L’algoritmo della musica italiana è poco meritocratico. Sarò scontato ma è così da sempre in Italia, oggi peggio nell’era del web marketing. All’estero se piaci ti passano in radio. In Italia, se non sei nel “giro”, non hai nessuna chance. In questo periodo tutti possono pubblicare la loro musica agevolmente su tutti i portali, più degli anni passati, bello, ma questo grande calderone di artisti di talento, è diventato il guadagno di tante aziende che ne sfruttano i loro sogni.
Come stai vivendo da talento artistico e persona questo periodo del covid-19?
Questo periodo lo vivo con spirito positivo e di normalità. Non sono uno che ha grandi pretese. Quindi lo stare a casa e vivere di piccole cose è per me la normalità. Mi bastano piccole cose, come l’affetto delle mie due piccole cagnoline Polpetta e Hughetta, quando torno a casa dopo una lunga giornata. Io penso che uno degli insegnamenti più importanti che ci può dare questo covid è il piacere di apprezzare l’essenzialità degli affetti e dei valori che ci circondano. E apprezzare tutte quelle cose che fino a ieri erano scontate, per esempio bere un caffè al bar. Ieri bere un buon caffè al bar era una routine, oggi è un desiderio. E lo stesso caffè che bevevamo ieri, domani sarà più buono.
Quali sono i tuoi programmi futuri?
Non ho programmi particolari per il futuro. Penso al presente. Ho due brani che vorrei pubblicare entro questo 2021. Restiamo in contatto e ci aggiorniamo tra qualche mese.