La giovane età della cantante di cui leggiamo in questa intervista, non deve trarre in inganno. Diamo il benvenuto a un eccezionale talento, che sta salendo alla ribalta grazie a un dono che ha saputo arricchire con pregiati studi, nonché accrescere in importanti esperienze in ambito nazionale.
Parliamo di Giorgia Faraone, in arte FEMMINA, che nasce a Galatina (Lecce) il 29 novembre 1992. Da sempre appassionata di musica afroamericana, si diploma in canto Jazz presso il Conservatorio Tito Schipa di Lecce. Dal 2014 si esibisce in festival e rassegne internazionali, tra i quali open act Paolo Fresu per Locomotive Jazz Festival, open act Jojo Mayer, open act Gegè Telesforo per “Summer Jazz week”, “Bologna la strada del Jazz” con un tributo a Ella Fitzgerald, “Festival Jazz Area Metropolitana di Bologna”, e tanti altri. Nel 2017 si esibisce in apertura al concerto di Manu Chao insieme alla band salentina “Vudz” e nello stesso anno si diploma nella classe di Autori presso il Centro Europeo di Tuscolano – SCUOLA DI MOGOL.
Questo, e scusate se è poco, e tanto altro direttamente dalle parole di Giorgia Faraone che con entusiasmo e gentilezza ha risposto alle nostre domande.
Com’è nata la tua passione per la musica?
Da piccola amavo ballare. Credo sia stato il primo approccio che ho avuto con la musica. Poi, come la più comune delle storie, andando in chiesa, ho iniziato a cantare nel coro e da lì i miei genitori hanno avuto l’intuizione che potessi essere più che intonata. Credendo molto nell’istruzione e nella formazione e, non essendo musicisti, mi hanno da subito iscritta ad una scuola di canto. Da allora non ho mai smesso né di cantare nè di studiare.
Cosa significa e com’è nato il nome “Femmina”?
Femmina è un nome che ho scelto in modo molto istintivo. Nel sud Italia è un termine che si usa spesso per identificare una donna di carattere. Non ho la presunzione di dire che lo sono, ma il nome mi trasmetteva molta forza e una bella energia. Ho un rapporto molto stretto con la mia femminilità, a volte anche controverso come credo lo sia per ogni donna, ma penso che il concetto non abbia nulla a che vedere con l’aspetto estetico, ma con una consapevolezza che si può raggiungere, con coraggio.
Come è stato concepito il singolo “Vienimi a prendere”?
Il testo e parte della melodia è nato dopo una serata no. Ero a divertirmi in un locale di Bologna con degli amici, ma di fatto non mi divertivo e desideravo che qualcuno venisse a prendermi.
La frase “vienimi a prendere” mi risuonava talmente tanto in testa che, una volta arrivata a casa, era impossibile non si tramutasse in una canzone.
E com’è nato il suo videoclip?
Avrei voluto girare il videoclip in un posto affollato, un pub per esempio, un concerto, una discoteca, ma chiaramente è stato impossibile a causa del Covid. Abbiamo quindi deciso, insieme al regista Daniele Pignatelli, di puntare sull’aspetto completamente opposto: la solitudine.
Abbiamo scelto due location che potessero rappresentare il pre e post serata di una ragazza. Le luci del mio meraviglioso paese, Galatina, scrigno del Salento, vista dall’alto e una casa molto particolare che ci ha colpiti per gli affreschi, i dettagli, i colori.
Ci aspetta un album che conterrà questo interessante brano?
Credo proprio di sì.
Quali sono le tue influenze artistiche?
Domanda difficilissima. Credo di essere un minestrone di cose. Sono influenzata da tutto ciò che ascolto, anche da quello che non mi piace. Scherzi a parte, ho divorato dischi di black music e sono cresciuta ascoltando i più grandi cantautori. Mio padre mi racconta che da piccola al posto della ninna nanna riusciva a farmi dormire con i dischi dei Led Zeppelin. Ho detto tutto.
Quali sono le tue collaborazioni musicali?
Tutti i musicisti con i quali ho collaborato sono stati importanti, ma incontrare Neffa è stata di sicuro l’esperienza e la fortuna più grande che ho avuto.
Quali sono i contenuti che vuoi trasmettere con la tua arte?
Nelle mie canzoni racconto di cose accadutemi o accadute a qualcuno particolarmente vicino a me. Racconto di storie vere nella speranza che chi mi ascolta possa riconoscersi. Cerco sempre di lasciare messaggi positivi, di forza, di coraggio, di risalita.
Raccontaci le tue pregiate esperienze, maturate nell’ambito elitario del jazz nazionale
Il jazz è un genere musicale che amo. Ho avuto la fortuna di cantare in diversi festival. Quando mi sono trasferita a Bologna mi dicevano che sarebbe stato difficile “entrare nel giro”, eppure dopo qualche mese mi sono ritrovata a cantare per “Bologna, la strada del jazz” in pieno centro, con un pubblico meraviglioso. Credo che il motivo sia perché mi sono approcciata a questo genere sempre con totale leggerezza e passione. Mi diverte molto e mi stimola lo scambio con i musicisti.
Cosa ti ha spinto a passare da studi e un curriculum orientato al jazz, verso altri generi musicali e sound (di cui apprezziamo la tua notevole impostazione e background)?
Non c’è stato qualcosa in particolare che mi ha spinto verso altri generi. Vivo la musica con totale libertà e mi lascio guidare dal mio istinto che oggi mi porta qui, e domani chissà.
Raccontaci della tua esperienza di Deejay onstage con “Panico”?
È stata una bomba di adrenalina. Dopo il lockdown non cantavo davanti ad un pubblico da mesi, sembrava come se dovesse essere di nuovo “la prima volta”. Mi sono ritrovata a presentare il mio primo inedito su un palco così importante. Mi sono confrontata con artisti straordinari e ho conosciuto uno staff che porto nel cuore. Un’esperienza unica.
Come stai vivendo da artista e persona questo periodo del covid-19?
Alti e bassi, come tutti. Cerco di rimanere fiduciosa, ma ammetto che ogni tanto mi lascio prendere dallo sconforto. Sto producendo tanta musica, è l’unica cosa che posso fare in attesa di poter cantare presto dal vivo e sentire il calore umano e l’energia dei concerti.
Quali sono i tuoi programmi futuri?
Spero di riuscire a raccogliere tutte le mie canzoni in un disco. Il mio primo disco. E questo mi elettrizza.