Un caffè con Leonardo Pruneti tutto sulla sua vita e su When The World Stops Crying

Un caffè con Leonardo Pruneti tutto sulla sua vita e su When The World Stops Crying

Con grande gioia diamo il benvenuto a Leonardo Pruneti, artista poliedrico che ci vizia e seduce con la sua arte. Recentemente impegnato nella promozione del lavoro When The World Stops Crying, leggiamo con senso di empatia l’intervista a Leonardo Pruneti, grati e onorati per il suo tempo e la cortesia riservataci! In punta di piedi ma con la curiosità di un bambino entriamo nella musica e nella vita, Leonardo Pruneti ci racconterà con quelle che sono le collaborazioni, le esperienze, e i progetti futuri. Entriamo nel vivo dell’intervista e diamo un caloroso benvenuto a Leonardo Pruneti!

Com’è nata tua la passione per la musica?

Sono letteralmente cresciuto con la musica: mio padre era un appassionato, e da che ho memoria, ho sempre ascoltato, con molta curiosità, tutta la musica che lui ascoltava (principalmente rock). La curiosità è, da sempre, la prospettiva con cui approccio al nuovo, allo sconosciuto: la voglia di conoscere questa cosa alla quale sono sempre stato esposto (la musica), è stata forte e spontanea, avvicinandomi in modo casuale al pianoforte su invito di mio padre. 

Com’è nato “Leonardo Pruneti” e il suo personaggio, il suo sound?

Devo essere obiettivo: se di un “Leonardo Pruneti” si può parlare, credo che questo sia venuto fuori dall’ascolto e dalla sensibilità. Rimango colpito dall’emozionalità della musica, che seppur soggettiva, per me ne rappresenta il fattore determinante tra ciò che mi piace o no, tra ciò che mi ispira o meno. Per me è una questione di magia: una certa idea compositiva, un certo disegno ritmico, una melodia, se non producono un effetto emotivo non riesco a definirla musica. Trovare un proprio sound e una propria “scia” è la missione di una vita, che forse solo i grandi artisti riescono a compiere: nel mio piccolo, dopo tanti anni di tentativi, studi, sperimentazione, posso dire di aver trovato il mio filone, e posso sicuramente affermare di essere all’inizio di quello che è un percorso di ricerca identitaria che solo il tempo potrà dire se mai avrà avuto compimento.

Come è stato concepito il lavoro When The World Stops Crying?

When The World Stops Crying nasce dal desiderio di comunicare quello che è stato il protagonista dei miei ultimi anni di vita: il cambiamento. È stata come una folgorazione, un lampo: ad un tratto mi sono reso conto che la vita è un viaggio, che prevede una partenza, uno svolgimento e un ritorno. Il ritorno presuppone che ci si trovi in uno stato diverso da quello della partenza, in quanto il percorso intrapreso ha fatto maturare dei cambiamenti. Allo stesso tempo tutto inizia e finisce. La vita, la bellezza, tutto inizia, cambia, ci cambia e inevitabilmente finisce. Ma allo stesso tempo la vita è un viaggio continuo, una serie quasi infinita di nuovi inizi e di nuove conclusioni. Il disco parla di queste tematiche, ed è stato organizzato strutturalmente per essere un viaggio: il primo brano del disco si intitola When The World Is Crying, mentre l’ultimo è la title track When The World Stops Crying. II titolo dei due brani fa presupporre un cambiamento di stato, e, in più, essi si legano in un loop continuo (la prima nota del disco è anche l’ultima), a voler testimoniare la ciclicità della vita.

Il lavoro è accompagnato da un video?

Non da video ufficiali o video live specifici, ma ho girato alcune riprese che sono servite per realizzare due teaser pubblicati sul mio canale YouTube. Piccola curiosità: all’interno dei due teaser si nascondono due parti di un codice sconto esclusivo per Bandcamp che permette di acquistare il disco con in 30% di sconto; non è facile vederli, ma tentare non nuoce giusto? Inoltre l’anno scorso abbiamo registrato una live session in studio di registrazione di 3 brani che sono nel disco (Fallout, Il Seme Della Follia e When The World Stops Crying).


In salita o in discesa. I percorsi artistici si sviluppano sempre tra mille peripezie, vuoi raccontarcele?

Devo dire che fare musica oggi è una missione quasi impossibile: gli spazi per gli emergenti non sono assolutamente scontati, e l’attenzione verso certi tipi di musica é sicuramente minore rispetto ad altri; per non parlare delle difficoltà economiche in ogni aspetto della produzione musicale, dai cachet dei concerti, ai costi di registrazione, promozione ecc… Però, almeno per me, vince la voglia di fare musica, di raccontarmi per quello che sono e comunicare con questo mezzo artistico: il resto, seppur spesso diventa complesso da gestire o addirittura invalidante, è secondario.

Quali sono le tue influenze artistiche?

Adoro la musica evocativa, che mi emoziona e che mi faccia letteralmente volare; seppur tutto questo è meramente soggettivo, ciò che a me colpisce ed emoziona di più è la musica jazz, specialmente quella contemporanea. Adoro artisti come Ambrose Akinmusire, Tigran Hamasyan, Shai Maestro, Vijay Iyer, ma adoro anche musicisti jazz più canonici se vogliamo, come Miles Davis o John Coltrane. Amo anche artisti contemporanei che basano molto sull’improvvisazione come Stefano Battaglia e Craig Taborn, oppure anche i grandi maestri della musica classica, su tutti Claude Debussy e Sebastian Bach. Ma amo anche la musica orchestrale, sia sinfonica passando dai Quadri di un esposizione di Mussorgsky (anzi, di Ravel) alla Sagra della primavera di Stravinsky, sia jazzistica, da Bob Brookmeyer fino a Maria Schneider. Dimenticavo: sono cresciuto con il rock e mi ispirano molto gruppi come Pink Floyd, Radiohead, Nirvana, Korn ecc…

Quali sono le tue collaborazioni musicali?

Devo dire che ho avuto la fortuna di collaborare spesso con musicisti più bravi di me: devo molto a questa cosa, ed amo circondarmi di persone che possono trainarmi in avanti. Ho collaborato e collaboro tutt’ora con alcuni dei migliori giovani musicisti italiani come Pietro Paris, Mattia Galeotti, Jacopo Fagioli, Luca Zennaro, Michelangelo Scandroglio, Giovanni Benvenuti, Simone Brilli, Stefano Zambon, Muhssin Pizii ecc…

Quali sono i contenuti che vuoi trasmettere attraverso la tua arte?

Nel mio piccolo cerco di fare quello che per me la musica deve fare: dare emozioni. Cerco sempre di vedere la musica, di visualizzare l’idea, la storia che voglio raccontare, e provare a cristallizzarla, a dare la forma ad un pensiero. So che la musica può essere interpretata soggettivamente, e questo a mio avviso rappresenta uno dei punti di forza di questa arte, ma allo stesso tempo cerco di comunicare quella che è la mia visione cosi per come è, per come l’ho vista o pensata. Mi piace pensare che questa cosa arrivi e venga percepita, e si spera, possa anche emozionare.

Parliamo delle tue pregiate esperienze di pubblicazioni, live, concerti o concorsi?

Uno dei settori in cui ho ottenuto maggiori riconoscimenti è stato quello dei concorsi; in particolare, quest’anno ho avuto il grande privilegio di essere stato il vincitore di un concorso molto importante, ovvero il concorso internazionale di arrangiamento e composizione per orchestra Barga Jazz, nella sezione arrangiamento con un lavoro sulla musica di Maurizio Giammarco. Questa è e rimane una delle più grandi gioie della mia vita, in quanto ho sognato di partecipare a questo concorso per anni ed ho studiato molto per arrivarci, e vincere è stato un grande motivo di felicità, emozione ed orgoglio. Ho anche vinto concorsi come Val d’Agri Jazz 2020 e Forum Jazz Live 2021, oltre ad essere stato finalista del concorso Fara Jazz Live 2020. Mi piace molto misurarmi in questo tipo di eventi e proporre la mia musica ad una giuria specializzata, nonché ad un pubblico sempre nuovo ovviamente. Tra le mie esperienze concertistiche ricordo con molto piacere il concerto tenuto all’Auditorium Parco della Musica di Roma nel 2019 insieme alla Saint Louis Big Band, che ho avuto modo di dirigere in alcuni miei lavori. Sempre all’Auditorium Parco della Musica ricordo un concerto in piano solo nel 2016 e un concerto come pianista  della Saint Louis Pop Orchestra nel 2018. Per me l’Auditorium è un posto speciale.

Cosa ne pensi della scena musicale italiana? E cosa cambieresti/miglioreresti?

Dal punto di vista jazzistico, direi che siamo messi molto bene: è ormai nota a livello internazionale la qualità del jazz Italiano, sia a livello dei grandi concertisti come Bollani, Pieranunzi, Rava, Fresu, che dei più giovani (penso a musicisti come Alessandro Lanzoni, Bernardo Guerra, Emanuele Filippi, Enrico Zanisi ecc…). C’è anche una rete molto distribuita in tutto il territorio di jazz club e festival, che portano regolarmente grandi nomi e grande musica in tutto il paese. Ci sono anche molti concorsi importanti che danno molta visibilità e che permettono ai giovani talenti emergenti di farsi conoscere al grande pubblico. Se c’è qualcosa che forse migliorerei è l’aiuto delle istituzioni ad una scena che è si culturalmente valida, ma anche molto in difficoltà economicamente: proporrei più bandi, finanziamenti, progetti finanziabili per dischi, tournée, e un aiuto più concreto al circuito orchestrale, sia esso di bande, marching band, big band o organici misti. Il settore delle orchestre è forse il settore più in difficoltà e il meno considerato come attenzione mediatica, ma rappresenta un elemento di assoluta importanza nell’ambito jazzistico, sia per la qualità intrinseca della musica orchestrale sia per le esperienze che possono garantire queste formazioni a giovani musicisti. 

Oltre al lavoro in promozione quale altro brano ci consigli di ascoltare?

Se devo consigliarvi un ascolto tra tutte le mie release, vi consiglio il brano A Story That You’ll Never Forget, che potete trovare su Spotify e su tutte le piattaforme digitali. È un brano frutto di una collaborazione con il mio amico e cantautore Gabriele Catoni, che ha prestato la sua voce e le sue parole alla canzone. È un brano dal sound quasi art-rock, molto vicino a quello dei Radiohead, che parla di tutto ciò che ci tiene vivi, che “ci impedisce di svanire”. 

Come stai vivendo da artista e persona questo periodo del covid-19?

Devo dire che ci sono due punti di vista da affrontare per rispondere a questa domanda. Il primo è che è palesemente un momento difficile, pieno di difficoltà logistiche, economiche, e tutta la categoria dei musicisti ne ha risentito. Il secondo è che personalmente, da compositore, vivo la pratica della composizione spesso in maniera isolata: quindi il periodo di lockdown passato ha incentivato, e quanto meno non danneggiato, tutte quelle prassi solitarie di creazione e composizione a me molto care. Quanto meno, non mi sono annoiato musicalmente parlando, ed anzi, l’isolamento è stato uno stimolo per scrivere molta musica del disco (e non solo). Ha tutto a che fare con l’introspezione, la ricerca di una propria voce interiore che dia la scintilla per comunicare un qualcosa, che sia la genesi di una composizione musicale.

Quali sono i tuoi sogni nel cassetto?

Musicalmente non si contano da quanti sono, ma se proprio devo scegliere ne dico 3: collaborare e suonare con Ambrose Akinmusire, registrare e diventare un artista ECM (la famosa casa discografica tedesca) e avere una mia orchestra stabile. I primi due sono quasi irraggiungibili per chiunque; per il terzo invece ci sto lavorando.