Elena Ventura presenta ’Inevitabile’: un disco tra leggerezza e verità

Elena Ventura presenta ’Inevitabile’: un disco tra leggerezza e verità

C’è un modo lieve, eppure deciso, con cui Elena Ventura attraversa la musica e le parole. Il suo disco si intitola Inevitabile, ma nulla in lei suona prevedibile: ogni nota sembra frutto di un ascolto profondo, ogni frase custodisce una verità detta con grazia. Liguria d’origine, visione ostinata, voce limpida e pensieri che brillano anche quando sembrano sussurri: Elena canta con lo stupore di chi ha conservato intatta la propria parte bambina. E lo fa con una leggerezza che non teme la profondità.

È finalmente uscito il tuo disco dal titolo “Inevitabile”. Ti va di raccontarci qualcosa in merito a questa uscita?

Sono davvero molto contenta del risultato che ho ottenuto, soprattutto per il lavoro che c’è stato dietro. È stato un percorso lungo, mi ci sono voluti anni per arrivare fin qui, ma sento di essermi davvero dedicata con cura e pazienza a ogni fase. Sono soddisfatta sia a livello di sound, che è quello che cercavo da tempo, sia per l’uniformità e la coerenza che ho trovato tra i brani. C’è un filo che li tiene insieme, e credo che questo rifletta anche una mia crescita, non solo musicale ma personale. Per la prima volta sento di aver trovato uno stile che mi rappresenta, una direzione chiara, una voce che sento mia. Magari cambierà col tempo — ed è giusto così — ma per questo progetto posso dire di aver trovato la mia identità, e questa consapevolezza mi rende felice.

Hai parlato di “gioia ostinata di chi non ha dimenticato la propria parte bambina”. Tu la tua parte bambina te la ricordi bene?

Sì, me la ricordo bene. E la uso spesso, soprattutto quando creo. È la parte di me che sogna, che immagina mondi, che inventa storie. Quando scrivo, parto quasi sempre da un’immagine, da una scena che vedo nella testa – e lì esce proprio lei, la bambina. La faccio venire fuori apposta, perché è quella parte lì che mi fa guardare le cose con stupore, con leggerezza, ma anche con profondità. E quando riesco a soddisfarla, sento che la canzone funziona. Che ha qualcosa di vero.

Quando scrivi, cerchi mai di stupire quella bambina, farla sorridere, o farle compagnia?

Sì, certo. Quando scrivo cerco proprio di stupirla, di farla divertire, di emozionarla. Mi piace cercare costruzioni, immagini o melodie che accendano qualcosa prima di tutto in me. Se non mi emoziono io, quella frase non mi convince. E se quel passaggio musicale non mi smuove dentro, allora non lo scrivo, non lo tengo. Non posso accontentarmi. Scrivere per me è un atto di verità, e la verità – anche quella più semplice – deve sorprendermi. Devo sentirmi soddisfatta, sentire che ho detto qualcosa che vale davvero la pena di essere cantato.

A che età hai capito che avresti potuto dire cose serie anche cantando leggero?

Con questo progetto è nata proprio l’idea di unire i due mondi: da una parte un sound divertente, leggero, quasi “happy”; dall’altra, parole semplici ma con significati profondi. Mi interessava creare un contrasto, un gioco tra la musica che ti fa muovere, sorridere, e testi che invece ti fanno pensare, che magari ti lasciano qualcosa dentro anche dopo l’ascolto. È un equilibrio che ho cercato tanto, e che sento di aver trovato in questo lavoro.

C’è un momento sul palco in cui senti che sei tornata proprio lì, a quel primo stupore?

Sì, alcune volte mi capita. Succede quando porto in scena un repertorio che amo davvero, quando canto le mie canzoni e sento che il pubblico è lì con me, attento, presente. Oppure quando condivido il palco con musicisti che stimo profondamente, o con colleghi con cui c’è un’intesa speciale. In quei momenti l’emozione torna forte, come all’inizio. Ed è un sollievo, a dire il vero. Perché se non provassi più quella vibrazione, quella meraviglia, probabilmente non farei ancora questo mestiere.

Immagina di scrivere una lettera alla Elena di dieci anni fa: le parleresti più di musica o di coraggio?

Le parlerei di coraggio. Le direi che a volte bisogna perdere qualcosa per trovarsi meglio. Che non tutti capiranno la sua musica, ma qualcuno la sentirà come una carezza. Le direi: “Non avere paura di stonare, di cambiare idea, di restare sola per un po’. Ogni vuoto è un invito a respirare più forte.”

Qual è la cosa più “inutile” che continui a fare anche se nessuno te la chiede più?

A dire il vero… non lo so. Non mi sembra di fare cose inutili. Anche quelle che possono sembrare piccole, ripetitive, persino buffe – in realtà hanno un senso, una funzione, anche solo quella di farmi stare bene. Credo che tutto ciò che facciamo, in qualche modo, sia utile. Anche solo per farci compagnia, per mantenere un contatto con qualcosa di nostro.